La luce dentro di noi

Oggi, 20 ottobre, in India viene celebrata Divāli, la “festa delle luci“, l’antica Dīpāvalī. Una ricorrenza sentita non solo da induisti, ma anche da sikh e jainisti. Le abitazioni, i luoghi di culto, le vie delle città, così come i villaggi rurali vengono illuminati da file di lampade a olio, candele e lumini.

Questo è un tempo di purificazione, di preghiere, puja (offerte).

Diwali è una festa che segue il calendario lunare e quindi ogni anno la data cambia, e può cadere in ottobre o in novembre.

Divāli ci ricorda che ombra e luce si alternano, e che persino nell’oscurità più penetrante c’è sempre un raggio di luce che filtra…

Metaforicamente parlando, questa ricorrenza ci invita a risvegliare gli aspetti più luminosi del nostro essere rimasti nell’ombra.

Nel mio Romanzo “Un’altra Vita in Provenza” 💜📖 c’è anche un po’ di India… tra i vari personaggi vi sono Champa e Kesarbai, che hanno aperto un’épicerie nel villaggio di Bellevue.

Champa è indiana, 📿Kesarbai è pakistana, ma per loro la Partizione non c’è mai stata… (e non doveva attuarsi, come auspicava Gandhi) perché sono unite dalle stesse passioni, dagli stessi gusti, dagli stessi studi… Attraverso la loro incrollabile amicizia India e Pakistan tornano a essere un’unica entità.

E per il tramite di Champa e Kesarbai nel Domaine du Vieux Chêne di Odette si festeggia proprio Divāli, la festa delle luci. 🕯️

Come scrivo nel Romanzo:

“Divāli per gli induisti è una ricorrenza importante. Ricordano il ritorno di Rama nella sua città Ayodhya, dopo che egli ha sconfitto Ravana fautore del rapimento di Sita. La leggenda di Rama e Sita è una sorta di bellissima metafora. Rama simboleggia la luce innata in ogni persona, ma che talvolta non riusciamo a sentire dentro di noi. Nel momento in cui affrontiamo le nostre ombre, possiamo far riemergere la luce chiara della nostra vera natura”.

Per me, l’India è ancora una nazione intrisa di profonda spiritualità in tanti luoghi.

Quando ho compiuto il viaggio-pellegrinaggio alle Sorgenti del Gange (Char Dham Yatra) ho avuto modo di fare tappa in varie città indiane ritenute sacre, tra cui Haridwar, e ho visitato diversi templi.

A ogni passo, a ogni sguardo, a ogni respiro percepivo dentro e attorno a me un’intensa sacralità.

E la festa di Divāli è certamente fra le celebrazioni più suggestive dell’India contemporanea, grande sub-continente pieno di misticismo.

Anche Varanasi/Benares è ancora un luogo altamente spirituale, tanto da essere sempre definita “città santa”. Tra i siti di culto più importanti vi è il tempio di Annapurna

Attorno ad esso ruota una leggenda collegata proprio a Divāli.

Si narra che Annapurna (paredra di Shiva) venne incaricata dagli dèi e specialmente da Shiva di sfamare gli abitanti di Varanasi, che rischiavano di morire a causa di una carestia che affliggeva la regione. Annapurna è infatti considerata “elargitrice di nutrimento”, divinità del cibo e dell’abbondanza, ed è per questo che il tempio è particolarmente visitato da coloro che temono la carestia. Non mancano i mendicanti, purtroppo ancora numerosi in India (Paese che come tanti è caratterizzato da opposte tendenze e realtà).

In occasione della “festa delle luci”, in prossimità del tempio di Annapurna vi è una fila di indigenti, che spera di ricevere cibo ed elemosine. Durante i festeggiamenti di Divāli, il tempio si riempie di colorati e profumati dolci indiani. Una volta terminate le celebrazioni, tra preghiere e puja, i dolci e altri cibi vengono offerti ai poveri, illuminando chi riceve e chi dona…

Silvia C. Turrin

L’abbazia di Sénanque, il sacro tra natura e pietra

L’abbazia cistercense di Sénanque conserva un fascino intramontabile.

Arrivarvi è già di per sé suggestivo, poiché si attraversa parte del Parco Naturale Regionale del Luberon.

Come si legge nel libro “Viaggio in Provenza e Occitania – Tra storia, misteri, borghi antichi e lavanda” (maggiori info qui):

L’abbazia cistercense di Sénanque si trova nascosta in fondo ad una piccola valle boscosa tra i monti del Luberon, nel Dipartimento del Vaucluse.

Per raggiungerla, si scende lungo una strada con varie curve. L’abbazia è ben nascosta, ma all’improvviso… eccola che appare…

Sempre nel libro “Viaggio in Provenza e Occitania” leggiamo che in questa zona:

…scorre quello che rimane del torrente chiamato Sénancole, corso d’acqua da cui molto probabilmente deriva il nome dell’abbazia di Sénanque. Del piccolo torrente Sénancole dal I millennio ai giorni nostri è rimasto ben poco, solo qualche piccola pozza d’acqua nelle vicinanze dell’abbazia. Interessante ricordare l’origine del termine Sénancole, che deriverebbe dal latino “Sana Aqua”, ovvero “acqua sana”. Il nome dell’abbazia deriverebbe quindi da questa acqua provvidenziale.

La storia della costruzione di Sénanque si collega a quella dell’abbazia di Mazan, poiché un gruppo di monaci, nel luglio del 1148, partirono dal complesso monastico di Mazan, situato nell’Ardèche, per raggiungere il vallone dove avrebbero poi edificato Sénanque. Questa comunità venne sostenuta e promossa dal vescovo di Cavaillon, Alfant, e Raymond Berenger II, Conte di Provenza. Sfruttando i terreni agricoli circostanti della zona, l’abbazia prosperò rapidamente e divenne un centro molto importante.

Tuttavia, nel XIII secolo, le città divennero sempre più importanti, e per la sepoltura dei defunti le persone si affidarono sempre più agli ordini dei frati questuanti. La conseguenza fu che l’abbazia di Sénanque, entrò lentamente in fase di declino.

[…]

Nel 1854, i cistercensi ritornarono in possesso del loro luogo di culto. Ma, in seguito alla politica anticlericale dello Stato, essi furono ripetutamente mandati via. Nel 1989, la vita del monastero riprese definitivamente.

Non è detto che in prossimità dell’Abbazia vi sia la lavanda in fiore, come tutti i turisti immaginano, sulla scia delle foto in copertina di varie guide dedicate alla Provenza.

A prescindere dalla presenza dei filari di lavanda, merita una visita l’abbazia cistercense di Sénanque per la sua architettura e per l’atmosfera un po’ mistica che vi aleggia.

Per saperne di più, consiglio la lettura del volume qui citato “Viaggio in Provenza e Occitania”.

Buon mese d’Agosto.

Silvia C. Turrin

Foto Silvia C. Turrin

Passaggio in Occitania: alla scoperta dell’Abbazia di Saint-Hilaire

In uno spazio web dedicato alla Provenza perché parlare di Occitania?”, si chiederanno alcune lettrici/alcuni lettori.

Le motivazioni di questa scelta sono numerose.

Parto subito col dire che, per questo Post, mi sono ispirata al libro “Viaggio in Provenza e Occitania – Tra storia, misteri, borghi antichi e lavanda” (maggiori info qui).

In questo testo un po’ guida turistica, un po’ diario, un po’ saggio storico… c’è un filo conduttore che lega tra loro Provenza e Occitania.

Scoprendo i vari itinerari si scorgono similitudini tra le due regioni e, in molti casi, sembra di addentrarsi in un unico territorio, privo di confini.

In effetti, come sappiamo, le frontiere sono state costruite a tavolino per fini politici e spesso non riflettono le caratteristiche culturali ed etnologiche locali.

Non è un caso che l’idea di Occitania faccia ancora discutere, così come i confini della “vera” Provenza siano oggetto di forte dibattito tra i puristi della storia e della geografia di questa terra.

Ma andando oltre le frontiere politiche (concetto, questo, a me caro, visto che ho scritto un Romanzo – dal titolo “Un’altra Vita in Provenza” – in cui tra i vari elementi vi è proprio l’idea secondo cui le frontiere sono “porose”, e rappresentano ponti, anziché muri), si può dire che l’Occitania sia una vasta area storico-geografica che comprende non solo gran parte del Midi francese, ma anche zone limitrofe in Italia e in Spagna.

Questo ampio territorio viene detto Pays d’Oc, per indicare un’area storico-geografica il cui elemento centrale è l’aspetto linguistico-filologico, rintracciabile nella lingua occitana, o lingua d’òc. Ma anche la tradizione trobadorica e vari aspetti folkloristici (musiche e danze) accomunano le diverse zone che compongono l’area culturale occitana.

Su questo argomento si potrebbero scrivere pagine e pagine di approfondimento.

Qui voglio parlarvi di un luogo suggestivo, ubicato nell’attuale dipartimento dell’Aude, nella regione dell’Occitania.

Si tratta del piccolo borgo di Saint-Hilaire, non distante da Carcassonne e da Limoux (villaggio a cui è dedicato un altro itinerario nel libro prima citato).

A Saint-Hilaire, il cui nome deriva dal patrono, si trova una splendida Abbazia risalente alla fine dell’VIII secolo.

Come si legge in “Viaggio in Provenza e Occitania – Tra storia, misteri, borghi antichi e lavanda“, l’Abbazia venne inizialmente dedicata a San Saturnino, ma a seguito del ritrovamento delle reliquie di Sant’Ilario, la chiesa fu rinominata. Ruggero I, conte di Carcassonne e sua moglie Adelaide, grandi benefattori dell’abbazia, vi furono inumati nel 1012.

L’Abbazia di Saint-Hilaire si trova nel cuore del Paese Cataro ed è circondata da un paesaggio vitivinicolo incantevole. Sulle sue spalle vi sono ben dieci secoli di storia… Il primo abate fu Nampio (nel 780-800).

Le sue mura hanno visto le crociate contro i Catari, il tragico periodo legato alla Peste Nera, e gli effetti della Guerra dei Cent’anni. Tra il ’700 e l’800 fu segnata da un inesorabile declino, ma grazie alle iniziative del comune di Saint-Hilaire, l’Abbazia, legata alla regola benedettina, dal 2001 è diventata meta turistica apprezzata.

Merita una visita per il Chiostro, in pietra arenaria, risalente alla prima metà del XIV secolo. Ha forma di un trapezio irregolare e conta 54 arcate, i cui capitelli richiamano immagini di volti umani, foglie e animali fantastici. Al centro, del chiostro spiccano la fontana e il pozzo, che, insieme, sembrano rappresentare un grande fiore.

Anche all’interno della chiesa si trovano capitelli con suggestivi ornamenti, tra foglie d’acanto e figure ispirate alla mitologia.

Nella Sala dell’Abbazia domina il soffitto, con decorazioni pregevoli. Il refettorio ha un’acustica particolare, tanto che in passato era usanza, durante i pasti, che un monaco sedesse nascosto in un angolo del pulpito a leggere la Bibbia: grazie alla risonanza del luogo, poteva essere udito ma non visto. Un modo per favorire l’ascolto e il raccoglimento meditativo, senza alcuna distrazione visiva.

Altra particolarità dell’Abbazia sono les caves”, le cantine, scavate nella roccia, dove un tempo i monaci producevano il loro vino, utilizzato durante la messa o bevuto durante i pasti. Non è un caso che il borgo di Saint-Hilaire vanti una lunga tradizione vitivinicola.

Furono proprio i monaci Benedettini dell’Abbazia a produrre, nel lontano 1531, la Blanquette, il primo vino spumante al mondo, oggi protetto dall’Appellation d’origine contrôlée (AOC).

Silvia C. Turrin

foto Gianni Turrin


PER APPROFONDIRE VISITA LA PAGINA WEB DELL’ABBAZIA DI SAINT-HILAIRE