“Dipingere non è un’operazione estetica: è una forma di magia intesa a compiere un’opera di mediazione tra questo mondo estraneo e ostile e noi”. Picasso Dopo aver fatto tappa a Saint-Tropez, continuiamo il nostro viaggio… Altro
Le tradizioni del Natale in Provenza
In Provenza, la festa del Natale è ancora scandita da antiche, gioiose tradizioni. Sia nei piccoli villaggi abbarbicati su promontori, e incastonati tra boschi e valli, sia nei grandi centri urbani come Aix-en-Provence, l’aria colorata ed esuberante del Noël si percepisce intensamente. Soprattutto chi esce dai circuiti turistici moderni e alla moda, ha la possibilità di immergersi nei rituali di un tempo, ancora oggi seguiti da molte famiglie provenzali.
Gli elementi immancabili di un Noël en Provence
Ci sono usanze che si ritrovano anche oltre i confini provenzali/francesi, eppure il Natale in Provenza – se vissuto con un atteggiamento di apertura – può riportarci a un’epoca e a un’atmosfera antica, in cui convivialità e buon cibo semplice scaldavano i cuori di grandi e piccini. Un’atmosfera che si può, appunto, vivere in questo millennio sempre più scandito da ritmi frenetici, convulsi, non umani ed eccessivamente ripiegato su algoritmi e su logiche alienanti.
Prendersi del tempo per sé, per la propria famiglia, i propri cari è il regalo più prezioso che possiamo donarci nel periodo natalizio. Seguire alcune tradizioni provenzali può essere l’occasione per capire che, da sempre, l’essere umano anela alla gioia, alla solidarietà, alla pace.
Dal grano di Santa Barbara alla scelta dei santons, dalla preparazione de la crèche ai rituali del “Cacho-fio” e della grande cena del vigilia del Natale: tutto in Provenza profuma di festa.
Abbiamo già parlato dell’usanza del grano di Santa Barbara (si veda l’articolo in Provenza da Scoprire dal titolo “Provenza, il tempo “calendal” e il grano di Santa Barbara“).
Un’altra tradizione si collega ai santons, una parola che deriva dal provenzale “santoun”, che significa “piccolo santo”. Realizzati modellando sapientemente l’argilla, i veri santons provenzali rappresentano i personaggi popolari di un tempo, dediti a compiere antichi – e a volte scomparsi o dimenticati – lavori: dal mugnaio al carbonaio, dalla lavandaia alla filatrice di lana.
Ad alcuni santons è stato dato un vero e proprio nome, come Pistachié, sorta di personaggio ingenuo che porta con sé un asino carico di sacchi di grano, o ancora Bartomiou, irriducibile ubriacone riconoscibile dal un lungo berretto che porta sul capo.







Tra le usanze più sentite vi è certamente quella della grande cena del 24 dicembre. Alla sera, la tavola viene imbandita a festa seguendo regole precise.
Per un “gros souper” che si rispetti occorrono:
- 3 belle tovaglie bianche
- 3 candele
- Il pane “calendal”
- Il grano di S. Barbara
- I 13 dessert
- Il menù, composto da 7 piatti “di magro”





A seconda del villaggio e della zona provenzale, la grande cena della vigilia è un’occasione speciale per allargare i confini della famiglia e offrire un pasto caldo a chi non può permetterselo.
Uno degli aspetti più interessanti di questi rituali lo si ritrova nel simbolismo dei numeri 3,13 e 7 che si ripetono nelle tradizioni natalizie provenzali.
Il numero 3 si riferisce alla Santa Trinità
Il numero 13 rappresenta Gesù e i 12 apostoli
A ciò si aggiunge il numero 7, che si riferisce alle sette piaghe di Cristo.
La Grande cena della vigilia di Natale inizia ufficialmente con il rito del “cacho-fio”, ovvero l’accensione del tronchetto di un albero, considerato sacro. La scelta deve cadere su un tronchetto proveniente da un albero da frutto, con cui verrà acceso il fuoco del caminetto, ma non prima di averlo cosparso per tre volte di vin cotto.
Attenzione, non si tratta di vin brulé, bensì di un vino prodotto secondo un antico e, purtroppo, quasi dimenticato procedimento. In sintesi, il “Vin Cuit” deriva dalla cottura (per varie ore, circa sei) del mosto delle uve (precedentemente pressate), dopo di che il succo ottenuto viene conservato in una speciale “cuve” dove avviene la fermentazione senza l’aggiunta di altro, per poi essere trasferito in barrique. È la cottura che precede la fermentazione a trasformare il mosto in “vin cotto”.
Per approfondire il rituale dei 13 dessert clicca qui
Testo e foto di Silvia C. Turrin
Un’altra vita in provenza

“Un’Altra Vita in Provenza ” è un Romanzo perfetto per immergersi nelle atmosfere provenzali e per conoscere sapori e tradizioni del Midi francese, andando sui passi di tanti personaggi…
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“Un’altra Vita in Provenza” è un viaggio “iniziatico”, che accompagna il lettore lungo un percorso che conduce dalla crisi all’armonia, dalle ombre alla luce, dall’instabilità alla gioia. Una metafora di un cammino esistenziale dove la catarsi si rivela una via naturale in cui ognuno di noi si può identificare.
“Un’altra Vita in Provenza” è un racconto ispirato, in cui si intrecciano le storie di persone accomunate dall’amore per la Provenza, per la Natura e per la Giustizia.
In un periodo dominato da incertezze economiche e dallo slogan “flessibilità”, Sofia, la protagonista di questa storia, sente di camminare su un filo sospeso, come una funambola. La morte di nonna Josephine, alla quale era fortemente legata, ha accentuato la sua insicurezza. Tutto le appare impermanente, anche a causa dei problemi interni alla società editoriale per cui lavora.
In un quadro instabile, Sofia riceve un’inaspettata lettera che le cambierà la vita. A firmarla, Odette, vecchia amica di Josephine, che la invita a raggiungerla in Provenza, nel piccolo borgo di Bellevue. In piena crisi esistenziale, Sofia decide di accettare l’invito di Odette. Così, la protagonista può finalmente ammirare di persona i luoghi che sua nonna le aveva fatto conoscere attraverso ricette provenzali e libri d’arte dedicati a Van Gogh, Cézanne e Signac.
Tra campi di ulivi, vigneti, erbe aromatiche e varietà di frutta antica, Sofia impara a lavorare a contatto con la terra, grazie all’aiuto dell’ottuagenaria Odette e dei tanti amici che ruotano attorno al Domaine du Vieux Chêne, come il pastore Leon, di origini andaluse, e Pancho, l’intellettuale cileno tormentato dai fantasmi del suo passato.
Sofia conosce Champa e Kesarbai, amiche inseparabili, l’una indiana, l’altra pakistana; Robert, ex monaco trappista; poi ancora Marcel, il cacciatore proprietario della charcuterie del villaggio che subirà una profonda metamorfosi, e Giselle, l’eccentrica botanica di Avignone.
A Bellevue non manca nemmeno una figura piuttosto misteriosa, di cui nessuno sembra sapere niente, ma che tutti in vario modo incrociano. In questa storia aleggia un segreto, quello custodito da Odette. In Provenza, Sofia – che sarà accompagnata dalla dolcissima Lucy, cane pastore dei Pirenei – scoprirà nuovi tasselli della sua vita e capirà quanto sia importante seguire il cuore e il proprio istinto per trovare finalmente un po’ di serenità.
In Appendice, “10 Lezioni di Mindfulness” apprese da Sofia in Provenza.
Indice
PROLOGO
PRIMA PARTE
- Impermanenza
- Un assaggio di Provenza
- Come in un bardo
SECONDA PARTE
- Ritorno
- Cronaca di un fucile inceppato
- Un sogno premonitore
- Fuga oltre i Pirenei
- Una riforma svanita
- I fantasmi del passato
- La lettera nel cassetto
- Intermezzo
- Un amore non corrisposto
- La festa di Santa Barbara
EPILOGO
Appendice – 10 Lezioni di Mindfulness
La festa di S. Barbara in Provenza
Il 4 dicembre si festeggia Santa Barbara. Una celebrazione ancora molto sentita in Provenza, tanto che per le strade di diverse città si vedono venditori di semi di grano. Si dice infatti che: “Ce jour là on sème du blé dans trois soucoupes pour garnir la table du gros souper”.
Di questa e di altre tradizioni natalizie ne parlo nel mio Romanzo “Un’altra Vita in Provenza” attraverso la voce dell’ottuagenaria Odette, una delle figure centrali del libro.

Odette spiega a Sofia, protagonista del romanzo, come in questo giorno in onore di S. Barbara vi sia ancora in Provenza l’usanza di seminare il grano.
Racconta Odette:
«I piccoli germogli del grano sono una buona cartina di tornasole per capire quali energie aleggiano per casa. Se il grano cresce bene, bello verde e alto, l’anno che verrà sarà contraddistinto da gioia e prosperità; se, invece, non cresce rigoglioso, sono previste tribolazioni. Comunque sia, il grano è un alimento sempre benedetto, è simbolo di vita e rappresenta il soffio vitale, dono di Dio.
Quello seminato il giorno di Santa Barbara noi provenzali lo conserviamo anche dopo il periodo natalizio, poiché si dice abbia il potere magico di proteggere le persone dalle tempeste, sia quelle del cielo, sia quelle della vita di ogni giorno».


Per approfondire (anche) questa tradizione puoi leggere il mio Romanzo “Un’altra vita in Provenza” disponibile in versione cartacea sui seguenti siti:

Alla scoperta del Priorato di Salagon
I colori caldi dell’Autunno ci portano alla scoperta del dipartimento delle Alpi dell’Alta Provenza. Facciamo tappa in un luogo dove storia, archeologia e sentieri botanici si intrecciano per dar vita a un luogo speciale, ovvero il Priorato di Salagon.


Situato alla periferia della cittadina di Mane, questo museo etno-botanico non solo è costituito da spazi didattici che raccontano antichi mestieri, ma anche da una chiesa un tempo priorato benedettino. Entrarvi significa conoscere le vicende religiose, gli usi, le tradizioni sociali che hanno caratterizzato un po’ tutta la Provenza.
All’entrata del Museo è meglio richiedere l’audioguida – disponibile anche in italiano – per conoscere i vari dettagli etno-botanici di Salagon. Ciò che in primis si ammira è la chiesa nella tipica arte romanica provenzale, il cui aspetto è stato ricostruito più volte a causa delle alterne vicende che l’hanno contrassegnata: da priorato dell’abbazia benedettina di Sant’Andrea di Villeneuve-lès-Avignon divenne residenza di campagna verso la fine del XV secolo, quando i monaci abbandonarono l’edifico; poi ancora venne utilizzata come granaio.


Nel 1857, grazie all’abate Giovanni, parroco di Mane, l’antico priorato medievale ritrovò il culto originario, ma altre vicissitudini irruppero. Solo a partire dal 1981 un nuovo progetto ha preso vita: la creazione di un museo del patrimonio etnologico dell’Alta Provenza che ha visto la luce nel 2000.
In questi anni, l’antico Priorato di Salagon ha saputo affermare la sua vocazione etno-botanica grazie alla creazione e valorizzazione di un ampio percorso formato da giardini di diverso tipo. Particolarmente interessante è per esempio il giardino medievale, realizzato prendendo spunto da fonti storiche, quali: miniature, libri contabili dell’epoca, trattati, inventari. In Provenza, in epoca medievale, prima dei contatti con le Americhe, si trovavano coltivazioni di avena, orzo, vari tipi di farro e miglio, poi lenticchie, fave e altre leguminose ormai quasi scomparse dalle tavole moderne, come la cicerchia.


Camminando nel giardino si scoprono le piante medicinali, tra cui l’iperico e il cardo benedetto, già utilizzate durante il Medioevo, e poi le piante considerate magiche, come la verbena, ritenuta potente talismano contro i serpenti, e la misteriosa, quanto pericolosa mandragora. Altrettanto notevole è il giardino dei tempi moderni, molto ampio, situato proprio davanti all’ingresso della chiesa.
Visitando il Priorato di Salagon, oltre agli splendidi giardini, si ha la possibilità di osservare due mostre permanenti. La prima è dedicata agli antichi mestieri, come quello dei fabbri e dei maniscalchi; è stata ricostruita anche la fucina di Monsieur Raynaud, discendente di un’antica famiglia di fabbri, coi vari attrezzi utilizzati tra cui incudini e mantici. L’altra mostra permanente è incentrata sul mondo della lavanda a 360 gradi.


Si vedono enormi alambicchi usati per la distillazione, oggetti impiegati un tempo per la raccolta come il falcetto, e poi nelle teche vi sono immagini e fotografie che restituiscono al visitatore scene agricole di un’epoca in cui erano soprattutto le donne le abili raccoglitrici di questa preziosa pianta aromatica. Si scopre che furono i profumieri di Grasse, a partire dal XVII secolo, a valorizzare la lavanda, tanto da trasformarla nel principale ingrediente di molte essenze.
Presso il Priorato di Salagon vengono organizzati regolarmente laboratori didattici, soprattutto per le scuole, e poi seminari etnobotanici, conferenze, atelier dedicati al mondo delle erbe e delle piante.