Arles tra spiritualità e antiche tradizioni

Arles è una delle città provenzali di cui non si finisce mai di raccontare, talmente è ricca di storia, arte, folklore. In questo spazio web dedicato a quella Provenza che amo scoprire e narrare, ho già avuto modo di condividere varie suggestioni legate a questo centro urbano sospeso tra Spagna e Francia. Si vedano per esempio itinerari che portano:

Qui voglio raccontarvi il lato sacro, ma anche “profano”, di questo centro provenzale crogiolo di popoli e culture.

La cattedrale di Saint-Trophime

L’edificazione della Chiesa di Saint-Trophime si realizzò partendo da un preesistente edificio di culto consacrato al protomartire Santo Stefano. Nel 1152 le reliquie di San Trofimo vennero traslate nella nuova cattedrale. Tra il XV secolo e il XVII secolo, l’edificio venne ancora in parte modificato: tre delle originarie absidi furono sostituite con un deambulatorio e con cappelle in stile gotico radiante; inoltre, vennero aggiunti balconi con balaustre e nuove porte a frontoni sulla facciata.

Durante la Rivoluzione francese, la Chiesa di Saint-Trophime venne trasformata in tempio della Ragione e molti dei suoi elementi interni subirono danni.

La cattedrale rimane uno dei simboli di Arles, soprattutto per il suo straordinario portale ovest, in stile romanico figurativo, tra i più importanti della Provenza, su cui è rappresentato il Giudizio universale. Troviamo nel timpano del portale il Cristo racchiuso in un guscio di mandorla, circondato dai quattro evangelisti e adorato dagli angeli dell’archivolto.

Nel registro dell’architrave sono raffigurati i dodici Apostoli, con al centro San Pietro e San Paolo, mentre più in basso, un altro registro riproduce l’Annunciazione, il sogno di Giuseppe e la Natività, e ancora accanto nella parte più a sud si vede l’annuncio a tre pastori, mentre a nord vi è l’immagine di Erode che ordina ai soldati il massacro degli innocenti, e di fianco si vede la fuga della Sacra Famiglia in Egitto.

Ritroviamo inoltre, sotto le colonne, scene dell’Antico Testamento che annunciano la passione e la resurrezione del Cristo. L’interno della cattedrale di Saint-Trophime conserva preziosi affreschi, come La lapidazione di santo Stefano e L’Annunciazione (datati entrambi 1614) del pittore fiammingo Louis Finson, e poi opere risalenti al Rinascimento e al periodo classico.

Nella Cappella della Vergine si erge la statua in marmo (alta quasi due metri) di Nostra Signora delle Grazie creata nel 1618 dallo scultore italiano Leonardo Mirano. Altrettanto notevole è il chiostro, posto a sud della cattedrale, caratterizzato da arcate, colonne e pilastri, su cui sono rappresentate scene che rimandano alla vita di Gesù.

La corsa camarghese

Ad Arles e in tutta la Camargue sono molto popolari i giochi chiamati course camarguaises, che si svolgono nelle arene. L’origine di questa sorta di “corrida provenzale” trova echi nell’antica tauromachia tipica della civiltà cretese (o minoica).

Il primo gioco documentato ad Arles risale al 1402. Negli spettacoli organizzati in Camargue, il cosiddetto raseteur, ossia l’uomo, vestito di bianco, che affronta il toro, deve strappare la coccarda, cioè un piccolo nastro rosso inserito tra le corna – dalla tipica forma di lira – dell’animale (ecco perché questa corsa è anche chiamata della coccarda).

Il raseteur deve dimostrare non tanto la forza, quanto piuttosto velocità e destrezza per avvicinarsi al toro e recuperare con grande agilità e coraggio il nastro rosso. Tali corse, che non prevedono l’uccisione dell’animale (nemmeno per la sua carne, poiché è allevato solo e unicamente per partecipare a questo evento), sono talmente apprezzate e seguite che è stata fondata la Federazione francese delle Course Camarguaises. Inoltre ad Arles esiste una scuola ad hoc dove vengono preparati i futuri raseteur. Queste non sono solo feste pubbliche, ma anche tradizioni che vengono proposte durante i matrimoni.

Testo e Foto di Silvia C. Turrin



per approfondire
Arles Camargue Tourisme
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Arles, “la Romana”

Arles è una città atipica della Provenza, più vicina alle tradizioni spagnole. Denominata “ville d’art et d’histoire”, Arles ha vissuto un passato scandito dall’alternarsi di diversi invasori sul suo territorio, tra cui Galli, Romani, Visigoti, Saraceni, Normanni. Un andirivieni facilitato dalla posizione geografica, posta al crocevia tra la Spagna, il nord d’Europa e le vie che conducevano a Roma: basti pensare all’Aurelia Vetus, l’antica via Aureliana. Proprio la civiltà Romana è quella che ha lasciato, più di altri popoli, la sua indelebile impronta. Imperatori come Cesare, Augusto e Costantino hanno plasmato l’antica Arles attraverso la costruzione di opere monumentali ancora oggi simboli di potenza e di grande ingegno artistico. La città divenne talmente fiorente che il poeta Ausonio la denominò “Roma gallica”. Arles è a tutt’oggi soprannominata “la Romana” proprio per le vestigia che custodisce, molte delle quali sono incluse nel patrimonio mondiale dell’Unesco; ed è una città ancora a misura d’uomo, visitabile tranquillamente a piedi. La maggior parte dei siti di interesse storico-artistico si raggruppa nel centro.

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La nostra visita inizia dalla riva sinistra del Rodano. Partiamo dal quartiere dell’Hauture, dove si erge il Teatro Antico, in rue de la Calade, non distante dalla sede dell’ufficio informazioni in boulevard des Lices. Costruito dai Romani alla fine del I secolo a.C., il Teatro Antico ha subìto una sorte immeritata. Fino al V secolo ha svolto la funzione di teatro, accogliendo sino a 10mila spettatori. Il pubblico poteva assistere gratuitamente a tragedie, commedie, pantomime. Dopo di che, le sue pietre e i suoi marmi sono serviti per edificare l’adiacente cattedrale di Saint-Trophime. Tra il V e il XII secolo, il Teatro Antico è stato quasi del tutto smantellato: colonne, architravi, capitelli furono saccheggiati per realizzare la limitrofa chiesa romanica dedicata a san Trofimo (primo vescovo di Arles).

Riprendiamo il nostro percorso varcando la soglia del Teatro Antico. Qui si viene piacevolmente colpiti dalla sua nuova rivalorizzazione, iniziata a partire dal 1800. Nonostante le razzie del passato, questa vasta arena esercita ancora un fascino artistico di grande valore. Grazie alle operazioni di restauro, il Teatro è stato trasformato in uno spazio a vocazione culturale, dove si svolgono spettacoli teatrali e concerti. Tra gli eventi più apprezzabili vi è il festival Les Sud à Arles, organizzato ogni anno nel mese di luglio, contraddistinto da performance musicali che mettono al centro dell’attenzione del pubblico artisti e cantautori provenienti dai quattro angoli del pianeta.

il simbolo per eccellenza di Arles, l’Anfiteatro Romano – foto Silvia C. Turrin

A pochi passi dal Teatro Antico, oltre place Henri De Bornier, troviamo il simbolo per eccellenza di Arles, l’Anfiteatro Romano: risalente all’ultimo decennio del I secolo d.C., fu costruito nel periodo di maggior ampliamento verso nord della città in epoca antica. All’interno si rimane impressionati dalla sua maestosità. Entrando ci sembra di accedere ad una porta che conduce a un tempo remoto in cui i gladiatori combattevano nell’arena, mentre gli schiavi erano costretti a lottare con animali incattiviti. Potevano assistere a questi spettacoli circa 21mila astanti. Poi, nel 404 d.C. i terribili combattimenti che vedevano un gran spargimento di sangue furono proibiti. Di quell’epoca rimangono importanti reperti archeologici, tra cui una statuetta in bronzo alta 19 cm, raffigurante un gladiatore, rinvenuta miracolosamente nel 1912. Grazie all’importante restauro voluto nell’Ottocento dal barone di Chartrouse, Guillaume Michel Jérôme Meiffren de Laugier, sindaco di Arles dal 1824-1830, l’Anfiteatro è stato rivalorizzato – come è accaduto per il Teatro Antico – divenendo nuovamente sede di spettacoli.

Van Gogh, un olandese in Provenza

Vincent Van Gogh arriva nella cittadina provenzale di Arles il 20 febbraio 1888. Vi giunge col desiderio di trovare quel gioco di luci che da tempo cercava. Qui può esplorare la sua creatività attingendo ai colori intensi dei paesaggi che lo circondano. Non a caso, affermò: «Nel Midi i sensi si esaltano, la mano diventa più agile, l’occhio più vivo, la mente più lucida».

il simbolo per eccellenza di Arles, l’Anfiteatro Romano – foto Silvia C. Turrin

Ad Arles dipinse molti dei suoi quadri più famosi, come L’Arlesiana, Le vigne rosse di Arles, e La casa gialla (opera ispirata alla sua stessa abitazione in rue de la Cavalerie). Visitando la città si può andare sulle tracce del pittore olandese grazie a un circuito pedonale, attraverso il quale si scoprono i luoghi dove Van Gogh si è fermato per immortalare persone, ambienti e paesaggi. Le varie tappe sono contraddistinte da cartelli che ritraggono i suoi quadri.

Tra i siti segnaliamo il ponte di Trinquetaille (da cui deriva il dipinto L’escalier du pont de Trinquetaille) e rue Mireille che corrisponde all’opera Le vieux moulin. Menzione a parte merita l’Espace Van Gogh, luogo un tempo ospedale, chiamato Hôtel Dieu, costruito nel 1573, dove venivano curati indigenti, bimbi abbandonati e malati. Fu qui che l’artista venne portato una prima volta nel dicembre 1888, dopo essersi mutilato il lobo dell’orecchio sinistro; poi ancora nel 1889 a causa della sua malattia mentale.

In questo ambiente Van Gogh rimase suggestionato dal giardino alla francese con aiuole di fiori, aranci e oleandri, tanto da realizzare l’opera Le jardin de la maison de santé. L’Hôtel Dieu chiuse i battenti nel 1974. L’antico ospedale è ora un centro universitario e culturale intitolato al pittore, in cui hanno sede tra l’altro la mediateca e gli archivi comunali.

Altra importante tappa è la Fondazione Vincent Van Gogh di Arles aperta al pubblico nell’aprile 2014 per valorizzare ancor più l’eredità pittorica dell’artista olandese. Realizzata su due piani, in uno spazio di oltre 1000m², la Fondazione cerca di creare un dialogo tra lo stilema di Van Gogh e i lavori di artisti contemporanei ispirati più o meno direttamente alle sue opere. Un progetto che sottolinea quanto l’influenza dell’olandese sia ancora molto viva nelle opere postmoderne.

Il pittore Vincent van Gogh è legato anche a Saint-Paul-de-Mausole, luogo noto perché vi si stabilì per tentare di guarire dalla malattia. Era l’8 maggio 1889 quando vi entrò. Qui riuscì a trovare un po’ di pace e quiete, come dimostrano i numerosi quadri (circa 150) da lui dipinti proprio nel periodo della sua permanenza, molti dei quali diventati – dopo la sua morte – capolavori dell’arte, tra cui l’Autoritratto e La notte stellata. Per approfondire, si veda un nostro precedente articolo dal titolo Vincent Van Gogh e Saint Paul de Mausole.

Silvia C. Turrin