
Andando “a giro” (come avrebbe detto il buon vecchio e compianto Tiziano Terzani) per la Provenza, si scopre che nell’albero genealogico di un Alain, di una Nicole, di un Dominique, di una Simone… ci sono radici italiane. Nonni, bisnonni, trisavoli sono emigrati dall’Italia nel sud della Francia per cambiare vita, trovare un lavoro o per amore o per la semplice voglia di “provare” a vivere diversamente, in una regione, la Provenza, che ha molto in comune con la Liguria o con la Toscana.
In Provenza, nella Provenza di oggi, si incontrano ancora tantissime persone semplici, dedite alla pastorizia, all’agricoltura, all’artigianato (vasai, santonnier, fourreur)…
Si percorrono centinai e centinaia di chilometri senza incrociare semafori, poche auto (soprattutto nell’entroterra lontano dalle grandi villes), immersi in un paesaggio bucolico che trasmette una gran serenità, una calma, una pace indescrivibile!
Mi chiedo però perché mai molti francesi discendenti da avi italiani non ammettano le loro radici, a volte le negano, però da “brava giornalista” o meglio da umile ascoltatrice, riesco a farmi dire che Monsieur … ha bisnonni nati a Catania, o che la Madame … ha radici torinesi (tanti i piemontesi!), o ancora toscane di Siena.
Mi accorgo sempre più che le frontiere sono abili costruzioni politiche “per far paura e controllare” i cittadini.
Ma che queste frontiere sono evanescenti, artificiose, e quindi lo spirito nomade dell’uomo prevale sempre, per dare un nuovo senso alla propria esistenza, per curiosità, per viaggiare e scoprire nuove terre dove poter riposare e stare in armonia con la natura e con le persone del luogo.
Adoro i libri firmati dal provenzale Jean Giono (le cui origini sono però piemontesi), ecologista e pacifista ante litteram di cui avrò modo di parlare in futuri post, ma non condivido la sua indole refrattaria al viaggio, alla scoperta di altri Paesi e continenti.
Per una società più aperta è necessario oltrepassare le frontiere e i confini della mente!