La Route du Mimosa, tra colori e profumi

La “Route du Mimosa” si snoda su ben 130 km. Un percorso pieno di cromatismi, profumi, borghi, paesaggi suggestivi. Un tuffo nel giallo delle diverse varietà di mimosa che colorano varie cittadine tra il Var e le Alpi Marittime.

È da alcuni anni che è disponibile online e nei vari Uffici del Turismo una cartina che promuove proprio questo incantevole percorso, di cui avevo già parlato in questo spazio dedicato alla Provenza.

Ma, essendo appassionata di questa pianta (oltre che della Provenza), in questo mese di Febbraio mi sembra perfetto ritornare su proprio sulla strada della mimosa… almeno con i ricordi e – come si dice in ambito meditativo – con l’occhio della mente.

Immaginate di sorvolare il massiccio del Tanneron tra gennaio, febbraio e marzo. Lo spettacolo è assicurato: un mare di giallo si distende sotto di voi.

Sono le mimose selvatiche alle quali si aggiungono quelle coltivate. Uno scrigno di bellezza che ha trasformato il massiccio del Tanneron nel “più grande bosco di mimose d’Europa”.

I francesi difendono questo patrimonio naturalistico e culturale, perché fonte di turismo. Attorno a questo meraviglioso paesaggio ruota tutto un settore economico che fa della mimosa il suo focus.

E cosa c’è di più bello che visitare questo angolo di Provenza, tra gennaio, febbraio e marzo, quando non vi sono le masse di turisti che affollano invece la regione nel periodo estivo?

La Route du Mimosa inizia nel delizioso borgo di Bormes-les-Mimosas, prosegue verso RayolCanadel-sur-Mer, Sainte-Maxime, Saint-Raphael, Mandelieu-la-Napoule, per poi volgersi all’interno verso il Massif du Tanneron proseguendo per Pégomas e infine verso Grasse, capitale del profumo.

Un viaggio affascinante, da vivere senza fretta, sentendo i profumi dei fiori che aleggiano nell’aria.

Come ricordo nel mio recente libro dedicato alle Meditazioni con i Fiori, la Mimosa è simbolo della rinascita floreale di fine inverno.

Mimosalia foto Silvia C. Turrin

Una leggenda spiega, in termini poetici, lo sbocciare dei suoi fiori.

Si narra che la nostalgia verso la sua terra d’origine sia il motivo della sua fioritura in pieno inverno, proprio quando nell’emisfero opposto al nostro è estate, stagione in cui sboccia la mimosa in Australia.

È una pianta che trasmette forza solare e i suoi fiori infondono Gioia.

Praticando la meditazione con i fiori di mimosa – magari proprio in Provenza e proprio lungo la “route du mimosa” – possiamo placare l’ansia e superare periodi complessi, stressanti.

Meditare con i fiori di mimosa permette di ritrovare armonia tra mente e cuore, tra ragione e sentimento.

Pensate di praticare immersi nella bellezza dei giardini mediterranei di Rayol-Canadel-sur-Mer? Uno spazio naturalistico protetto ampio 20 ettari, ai piedi del Massiccio dei Maures e di fronte alle Isole Hyères.

Progettato dal paesaggista Gilles Clément, questo giardino raccoglie svariati paesaggi botanici. Tra questi, vi è un angolo dedicato all’Australia, terra d’origine della mimosa.

Altro luogo suggestivo lungo “la strada della mimosa” è il Parc Emmanuelle de Marande a Mandelieu-La Napoule. Definito “museo della mimosa”, questo parco si estende per quasi 10mila m². Un polmone verde che tra gennaio e febbraio si colora di giallo, grazie alla presenza di un centinaio di specie di mimose. Da non perdere, sempre in questo parco, la mostra a cielo aperto, che ripercorre la storia e l’evoluzione della coltivazione di questa pianta.

Per chi ama la mimosa, la Provenza è una terra ideale per scoprire i tanti segreti di questo fiore…

testo e foto Silvia C. Turrin


IL PERCORSO DELLA “ROUTE DU MIMOSA”

Arte in Provenza contro la guerra, per la pace

Sì, io ho coscienza d’aver sempre lottato, con la mia pittura, da vero rivoluzionario”.

Questa frase di Pablo Picasso racchiude il senso più profondo di quell’arte che vuole esprimere e raccontare le luci e le ombre della società in cui è immersa.

Se la creatività ha in sé qualcosa di profondamente misterioso e insondabile, è anche vero che gli artisti sono influenzati dal clima sociale, politico e culturale del loro tempo. L’arte va oltre la dimensione estetica e può parlare alle coscienze.

Basti pensare a “Guernica”, capolavoro che tocca nel profondo l’anima, emozionante e forte opera di denuncia contro la guerra. Presentata al mondo in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1937, Guernica” è un urlo di dolore e rabbia del pittore, portavoce dello sgomento dei suoi connazionali di fronte al bombardamento della città basca da cui prende il nome l’opera stessa. L’impegno di Picasso contro la guerra lo vediamo anche nel manifesto creato appositamente per il primo Congresso mondiale per la pace, tenutosi nell’aprile del 1949 a Parigi. Si tratta della famosa litografia raffigurante una colomba bianca.

La guerra e la pace di Picasso

In Provenza possiamo entrare realmente nelle atmosfere antimilitariste espresse da Picasso. Basta varcare la soglia dell’antica cappella romana del castello di Vallauris per immergersi in uno spazio dove percepire l’orrore della guerra e al contempo il respiro vitale della pace.

Nel 1952 Picasso realizzò a Vallauris un’opera di ampie dimensioni, che fa eco ai numerosi appelli a favore del dialogo e dell’armonia internazionale. Il titolo non poteva che essere “La guerra e la Pace”, composta da due grandi pannelli. Nel primo, che ritrae la guerra, dominano figure  tetre e colori oscuri che vanno dal grigio al nero. Nel secondo, dedicato alla pace, le ombre cupe cedono il passo alla delicatezza di un blu che infonde calma, mentre figure ritratte in bianco esprimono la gioia della vita. A queste due opere Picasso ve ne aggiunse in seguito una terza “Le quattro parti del mondo”, un chiaro invito affinché i popoli del mondo si uniscano e camminino finalmente insieme compiendo passi di pace.

Grazie all’arte impegnata e immaginifica di Picasso, l’antica cappella abbandonata del castello di Vallauris è diventata un “tempio della pace”.

La spiritualità nell’ultimo periodo artistico di Matisse

Nell’estate del 1943, in piena Seconda guerra mondiale, Henri Matisse (1869-1954) andò a rifugiarsi nel borgo di Vence. Fuggì da Nizza dopo aver subito un difficile intervento chirurgico nel 1941, a causa di un cancro all’intestino.

La salute precaria – dopo l’intervento dovette fare uso della sedia a rotelle –, il sanguinoso conflitto in atto, le drammatiche vicende accorse alla figlia Marguerite (torturata dalla Gestapo per il suo attivismo nella Resistenza francese) furono eventi che lo segnarono nel profondo.

Per questo accolse con slancio la proposta della suora domenicana Jacques-Marie (il cui nome di battesimo era Monique Burgeois), già sua infermiera, poi amica e modella, di creare la nuova cappella per il complesso monastico.

Uno slancio divenuto ancor più appassionante dopo l’incontro con frate Rayssiguier, novizio dell’ordine dei domenicani entusiasta dell’idea di unire arte moderna e arte religiosa. Matisse progettò non solo le vetrate, ma la Cappella del Rosario nella sua totalità.

“Ho iniziato dal profano ed ecco che al tramonto della mia vita, in modo del tutto naturale termino con il divino” affermò Matisse nell’estate del 1951.

La Cappella del Rosario è un luogo calmo, spazioso e luminoso, perfetto per raccogliersi in silenzio e ritrovare la pace, mentre fuori il mondo corre ed è ancora in preda a tanti conflitti in varie parti del mondo.

Matisse, nel realizzare questo luogo di contemplazione, ha scelto tre colori, non a caso: il verde collegato alla Natura; il blu simbolo della luminosità del cielo del Midi; il giallo, che rappresenta la luce del Sole e di Dio.

In quest’opera Matisse ha espresso il suo slancio verso la spiritualità, come per invitare il mondo a rallentare la corsa, per recuperare quel rapporto col divino che ci permette di comprendere il senso più profondo della nostra umanità.

L’inno alla pace di Folon a Saint-Paul de Vence

Jean-Michel Folon (1934-2005) fu grande amico di Cèsar, e come Chagall, ha trascorso molto tempo a Saint-Paul de Vence. Qui ha trovato ispirazione per alcune sue opere suggestive.

In questo borgo del sud della Francia, Folon viene ricordato soprattutto per il lavoro progettato all’interno della Cappella dei Penitenti Bianchi. Questo monumento risalente al XVII secolo è stato restaurato solo pochi decenni fa e per l’occasione venne coinvolto Folon. Sino al suo decesso, avvenuto nel 2005, l’artista belga ha concepito e creato i lavori preparatori degli affreschi, vetrate e sculture interne alla Cappella.

La serie di disegni e acquarelli da lui ideati hanno fornito la base per la realizzazione di diverse opere che si possono ammirare in questo spazio piccolo, ma evocativo, ovvero: un grande mosaico eseguito secondo la tecnica artistica di Ravenna da un atelier milanese, sotto la direzione di Matteo Berté; quattro vetrate realizzate dal mastro-vetraio di Chartres, Jacques Loire; due sculture, una in bronzo composta presso l’atelier Romain Barelier e l’altra in marmo rosa del Portogallo, realizzata a Pietrasanta, dallo scultore italiano Franco Cervietti; otto pitture a olio prodotte da Michel Lefebre, il quale si è basato sugli acquarelli dipinti da Folon. Il risultato è uno spazio poetico, ricco di sfumature cromatiche, di giochi di luce, un inno alla Pace.

Silvia C. Turrin

Scorci di Èze, tra Nietzsche e George Sand

Sembra essere sospeso tra terra, cielo e mare questo borgo medievale che vanta tra i suoi illustri ospiti del passato anche Nietzsche, cui è dedicato l’omonimo sentiero.

Èze, arroccato su uno sperone roccioso a picco sulla Costa Azzurra, ha una storia molto antica (a tratti anche misteriosa) come dimostra la porta fortificata del XVI secolo da cui si accede per tuffarsi nell’intricato labirinto delle sue viuzze.

Tra scale tortuose, archi, passaggi e case con vecchie pietre, Èze è un piccolo gioiello delle Alpi Marittime, molto vicino alle tipiche atmosfere provenzali. Il nome del borgo sembra derivare da un’installazione fenicia il cui termine originario significherebbe “panorama” e al contempo evocherebbe il culto di Iside, dea legata al sole: ma quest’ultima spiegazione rimane solo un’ipotesi.

Passeggiando per il borgo in primavera si viene rapiti dalla bellezza delle bougainvillae e dei roseti che rivestono mirabilmente le facciate di molte case. Il percorso per la visita si può iniziare scegliendo come prima tappa l’Ufficio del Turismo, in Place de Gaulle, per poi salire verso il centro del villaggio, prendendo Rue du Jardin Exotique.

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Da qui dipartono atelier d’arte, negozi artigianali tipici, dove si lavora il legno ancora a mano, e boutique, che vendono eau de lavande, essenze profumate, oltre che i classici prodotti provenzali.

Da Rue du Jardin Exotique si diparte il famoso Chemin de Nietzsche che conduce verso Èze-sur-Mer, sulla costa, dove vi alloggiò il filosofo tedesco. Si dice che per trarre ispirazione per la scrittura Nietzsche avesse bisogno di camminare e allora si dirigeva verso la parte alta del villaggio: fu così che riuscì a elaborare la terza parte della celebre opera Così parlò Zarathustra.

Oltre a Nietzsche, Èze fu meta preferita, tra gli altri, anche della scrittrice e drammaturga francese Amantine Aurore Lucile Dupin, conosciuta meglio con lo pseudonimo di George Sand.

Le rovine di Èze, aggrappate a un cono roccioso, e il pittoresco villaggio a pan di zucchero incantano lo sguardo. È il più bel panorama lungo la strada, il più completo, il più armonico.
George Sand

Attorno al borgo vengono coltivate piante di lino, carruba, fave, e poi fichi; vi sono anche vitigni e ulivi. L’agrume più noto in loco è il mandarino di Èze, una varietà particolare molto profumata e fruttata, che cresce in quest’area.  I migliori periodi per visitare il luogo sono la primavera e l’autunno, per riuscire a percorrere tranquillamente le sue vie.
Il grazioso marché settimanale si tiene ogni domenica mattina.

Silvia C. Turrin